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DELLA BIOEDILIZIA
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La Bioedilizia
Da sempre amante della natura, un po' animale io stesso… ed animalista con brucianti ipocrisie (detesto i cacciatori ma adoro le bistecche!), ben poco sapevo della parola in questione e dei retroscena ideologici che ne costituiscono il substrato teorico. Per caso mi iscrissi ad un corso di alcune serate. Poi ad uno, piccolo piccolo, sul Feng-Shui. Decisi di lasciar perdere il secondo agli orientali e di concentrarmi sul primo aspetto. Chiariamoci, non perché le regole del Feng Shui non siano appassionanti o non presentino alcuni aspetti comunque degni di attenzione; ma perché lo avverto, da bravo eurocentrico razionalista, lontano anni luce dalla mia cultura e dal mio modo di vedere le cose.
Dopo un qualche corso e qualche lettura sono giunto alla conclusione che... le nostre case, per la maggior parte, fanno schifo! Non parlo di lato estetico né di arredamento o di stile architettonico, ma della sostanza. Immerse nelle città, sono compenetrate, come ne fossero parte esse stesse, di rumori, frastuono, polveri più o meno sottili, ossido di carbonio, formaldeide e tutta una serie di inquinanti esogeni ed endogeni contro i quali ben poco possiamo fare. A meno di non cercare di fuggire in cima ad un monte… nella speranza che i venti non ci inseguano portandoci l’eco di ciò che abbiamo abbandonato! Non ho le competenze tecniche per addentrarmi più di tanto nello specifico, motivo per cui mi limiterò a narrare ciò che ho appreso e ciò che, di conseguenza, ho cercato di fare per limitare il danno nella ristrutturazione di Pian di Casi che, con una punta di orgoglio, posso definire restaurato in bioedilizia. |
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La calce e il cemento
Il cemento è morto. La calce è viva. Affermazioni che, prese alla lettera, ben poco hanno di vero e meno dicono. Intendo dire che il cemento non traspira, non respira, assorbe poco l’umidità e altrettanto poco la rilascia. E’ durissimo, molto più degli inerti ai quali è legato e, di norma, quando lo acquistiamo non sappiamo esattamente da cosa è composto: magari dal recupero di vecchi manufatti che vengono riciclati e che, in ipotesi, potrebbero arrivare a contenere particelle di amianto! La calce, aerea o idraulica, si comporta esattamente all’opposto: è traspirante, assorbe lentamente l’umidità e lentamente la rilascia, aderisce in modo più naturale e coeso a mattoni e pietre che è chiamata a legare. Causa principale di tali differenze è la diversa cottura alla quale, con temperature differenti, vengono preparati i due leganti: la calce viene cotta a temperatura inferiore, per cui il processo di “carbonatazione” non si esaurisce in fornace ma prosegue negli anni; rendendola “viva” e di più lunga durata.
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I muratori hanno, invece, la convinzione che un muro fatto a calce non tenga e che serva necessariamente una malta bastarda con parecchio cemento e, se proprio vogliamo, qualche mestolata di calce. Sono certo che, nonostante abbia fornito io stesso la calce idraulica naturale e mi sia sfinito a dire che mi assumevo la responsabilità dell’assenza di cemento nelle murature e negli intonaci, qualche palata di cemento ogni tanto ce l’hanno messa di nascosto… Per scendere nel concreto: se osserviamo gli intonaci di palazzi millenari, dai resti di Pompei in poi, vediamo come si siano conservati senza grossi problemi. Il materiale principe era la calce, cotta e poi spenta direttamente sul cantiere in fornaci che venivano predisposte all’uopo. Facciamo, invece, un giro in città, qualsiasi periferia. Se osserviamo i palazzi degli anni 60, ecco sbucare il tondino di ferro da sotto le ferite del cemento che si è staccato. Ma non solo: prendiamo gli interni di un appartamento non molto areato, con qualche ponte termico di troppo, ed ecco che agli angoli e vicino alle finestre compaiono orribili muffe nerastre. Provate a cercarne traccia in un alloggio con intonaci in calce naturale… se vi riesce! Le cause di questi diversi tipi di comportamento da parte dei due leganti sono da ricercare nelle loro caratteristiche intrinseche. La calce aderisce in maniera più efficiente all’inerte avendone una più simile “durezza”; il cemento tende a fare corpo a sé, diventando durissimo, compatto ma spesso staccandosi dagli inerti. La calce, poi, è igroscopica: traspira impedendo il formarsi di muffe e di ambienti insalubri; il cemento costituisce una barriera e mantiene l’umidità all’interno delle stanze. Così a Pian di Casi niente cemento. O meglio: poco cemento e quando proprio ho dovuto cedere alle pressioni del muratore di turno! Una volta la settimana caricavo la mia station wagon di quattro quintali di ballini di calce idraulica naturale (acquistata in un magazzino specializzato) e la portavo al casale pregando in ginocchio la macchina di perdonarmi e di inerpicarsi su per la stradaccia in salita…
Prima di cambiare argomento mi piace finire l'attacco al cemento con un paio di frasi di Herta Muller che, nel suo L'altalena del respiro, a proposito di circostanze ben più drammatiche che non le tecniche di ristrutturazione di una casa, dice: "Il cemento è una truffa, come la polvere sulla strada, la nebbia e il fumo. Vola nell'aria, striscia sulla terra, si appiccica alla pelle. [...] Alimenta il sospetto perché vola e striscia e si incolla, perché scompare senza una ragione, color grigio lepre, vellutato e amorfo".
Ma anche sulle tecniche usate per intonacare si deve spendere qualche parola. Il metodo comunemente usato dai “palazzinari” è quello di spararlo a macchina. Oppure, per superfici non troppo estese, vengono fissati al muro dei “rigoni” di legno, perfettamente in bolla l’uno con l’altro, e fra di essi viene disteso l’intonaco: prima quello che viene definito “rinzaffo” e poi la “finitura” (aventi granulometrie differenti). A questo punto si parte dal basso con un regolo e lo si tira, muovendolo lentamente, verso l’altro a lisciare la parete. Questa viene pari, liscia, perfettamente in bolla. Cioè, se si vuole fare un restauro conservativo di un immobile d’epoca, viene a mio avviso uno schifo! Cosa che, ovviamente, fece chi intonacò l’esterno del mio casale e provarono a fare i primi muratori nel solito povero ingresso. Un lavoro fatto bene, a mio avviso, deve essere fatto invece a mano libera, senza le guide ma spalmando i vari strati di intonaco con cazzuola e frattazzo (americano o spugnato a seconda di che finitura si cerca). In questo modo, come ho fatto fare negli interni, i muri vengono irregolari, con “bozzi” e aree più concave né più né meno come si faceva un tempo.
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Pitture vernici e collanti.
Una delle maggiori fonti di inquinamento domestico è, senza dubbio, costituita dalle pitture a muro e dalle vernici di sintesi che vengono usate. Ultimamente si trovano in commercio molti prodotti all’acqua, il che – tuttavia – ci garantisce l’assenza di elementi sintetici (diluenti alla nitro, ad esempio) quali vettori dei coloranti, che sono disciolti in acqua. Il che è già un primo passo avanti. E’ però opportuno fare attenzione anche ai coloranti che, molto, spesso, sono di produzione industriale e trovano la loro origine in derivati del petrolio. Tali sostanze, giorno dopo giorno, vengono rilasciate nelle stanze e vanno ad “inquinare” l’aria che respiriamo all’interno delle nostre case. Così, in bio-edilizia, si usano solo ed esclusivamente pigmenti naturali: animali (uovo, latte), minerali (blu cobalto) o terre. Senza entrare in merito alle differenze, è il caso di richiamare l’attenzione sul fatto che questo tipo di pitture sono meno forti e vivaci ma hanno delle colorazioni più tenui, plastiche e naturali. Scordiamoci, quindi, il rosa fucsia o il blu elettrico per perderci, invece, in mille sfumature di violetti tenui o di azzurri morbidi ma non per questo poco coprenti o monotono. |
A Pian di Casi ho pitturato una camera di azzurro e l’altra di verde, entrambi molto tenui in quanto non ho finito il lavoro con la velatura che prima o poi mi deciderò a stendere. Anche le porte hanno seguito lo stesso criterio, con Sonia che ha dipinto la cornice esterne e gli infissi di blu e di verde. Importanti sono anche i prodotti che si usano per trattare le travi ed i correnti. Niente antitarlo chimico ma solo uso di sali di boro, spennellati con santa pazienza fino ad essere assorbiti dalle porosità di un legno secco e asciutto. Poi niente flatting o roba del genere ma solo ed esclusivamente cera o olio naturale diluiti, quando necessario, con balsamo di agrumi. Se entriamo in un ambiente nel quale si stanno stendendo vernici sintetiche le nostre radici sono raggiunte da odori sgradevoli, pungenti. Quando, in lunghissime giornate, abbiamo tinteggiato le pareti e trattato le travi a Pian di Casi gli unici odori che si avvertivano erano profumo di agrumi, sentore di lavanda, legno. Lo stesso identico discorso deve essere fatto per il trattamento del parquet, o meglio – nel caso di una colonica – dell’assito. A parte lo stesso trattamento ad olio, le assi di abete non sono state incollate ma sono state fissate alla vecchia maniera. Dopo avere tolto, una ad una, le pianelle di cotto nelle camere, è stata stesa una rete elettrosaldata ed è stato rifatto il massetto nel quale sono stati “affogati” dei listelli di legno. Una volta “tirato” il cemento, su tali listelli sono state inchiodate le assi, predisposte con incastro maschio-femmina, sulle quali è stato spalmato un po’ di collante rigorosamente naturale. |
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