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STORIA

 

I RICORDI DI...

 

 

I ricordi di Romolo

 

Romolo è un anziano agricoltore che, lungo la Sieve poco prima del bivio per Via Uscioli, coltiva assieme alla moglie un bel campo dove si trova qualsiasi tipo di frutta e di verdura siano coltivabili in zona. Un uomo di un tempo, con i segni belli e brutti di una vita passata all’aperto, nella sua campagna e con i suoi animali che ancora lo circondano mentre lavora di buona lena il suo grande orto.

 

Un torrido pomeriggio del torridissimo Agosto dell’ancor più torrido 2012, mi ci sono fermato a far due chiacchiere, mentre facevo una piccola scorta di patate e pomodori e pesche noci appena colte. Gli ho fatto qualche domanda sul mio casale... e mi sono fermato a ascoltarlo per quasi un’ora, con quell’interesse che nutro, da sempre, verso chi – con l’umiltà propria dei vecchi delle nostre campagne – ha tanto da raccontare ed ancor di più da insegnare.

 

Lui conosce Pian di Casi fin da ragazzo e ci ha vissuto per un periodo durante la II Guerra mondiale, quando aveva 13 anni, e c’era stato “sfollato” assieme al nonno, la vecchia zia ed altri parenti per un totale di sei persone. Lì viveva un nucleo familiare di mezzadri, che coltivava il terreno e vi conduceva gli animali. Mi ha raccontato Romolo che la casa era sufficientemente ampia da accogliere due famiglie e che il podere era buono, fertile, essendo “di collina, con l’aria bona”.

 

Nella parte di terreno degradante davanti alla casa, dove adesso ci sono solo rovi, dice che c’era una bella oliveta a gradoni e che nell’attuale pratone vi erano, anche lì, olivi frammisti a filari di viti ed a strisce coltivate a frumento; narra che anche nel terreno dietro la casa vi fossero olivi e viti, sempre mischiati. Mi ha raccontato che durante la guerra, col frutto di queste viti, veniva fatto un vino terribile, acidulo ed imbevibile mentre nel periodo successivo vi venne a vivere un mezzadro che era riuscito ad ottenere un vinello “meglio di quello della contessa!”. Dice che questo mezzadro, che zoppicava per gli effetti della poliomelite ma che aveva una forza da leone, portasse con la treggia “i’ concio” e l’acqua alle viti, che così avrebbero reso un’uva adatta alla vinificazione.

 

Sempre Romolo ricorda, durante la guerra, di avere mangiato cavolo e pecorino, con mezze forme di formaggio “messe dentro a cavoli così grossi che ci si poteva sedere sopra, noi ragazzi”. Dice che il contadino aveva una trentina di pecore e che le forme venivano stagionate dove adesso, se non ho capito male, c’è la stanza del miele; nella stanza accanto vi sarebbero state tenute le galline ed in effetti erano ambienti privi di pavimentazione.

 

Mi ha, poi, raccontato che nei poderi di collina della zona (ma non ho capito se vi fosse incluso anche Pian di Casi), vi erano tantissimi pescheti, almeno uno per podere, che producevano pesche grosse ed abbondanti. Queste erano di qualità migliore di quelle coltivate più in basso, per l’aria “bona”, e maturavano una decina di giorni dopo potendo spuntare anche prezzi più alti. “Ogni notte si caricava un 300 [camion a tre assi] che faceva la spola da Colognole anche due o tre volte. E poi le caricava su i’ camion piccino e le si portavano a vendere. Una meraviglia. Poi, mandati via i mezzadri, hanno vorsuto fare da soli e cambiare e hanno tagliato i peschi”.

 

1985: il dietro della casa, prima che venisse realizzato lo scannafosso, con la strada ed... un paio di macchie!

 

I ricordi di Monica

 

Monica è la figlia di Pino il vicino, quindi la vicina. In una versione precedente di alcune pagine di questa sezione del sito l’avevo... accusata... di aver dipinto ogni cosa potesse essere coperta con smalto e vernice. Così mi ha raccontato, invece, che quando la sua famiglia entrò in possesso del casale lo trovò già in quel modo e che sua mamma e sua zia stettero giorni a raschiare lo smalto dalle travi dell’ingresso che, in effetti, io trovai abbastanza pulite seppur da sabbiare.

 

Sempre a proposito di mamma e zia mi ha raccontato Monica che, il giorno in cui andarono a vedere il casale per la prima volta, restarono a dir poco di sasso: sia per le condizioni della strada (che non voglio nemmeno immaginare come fossero all’epoca…) che per il fatto che il locatore non si presentò all’appuntamento e dette loro le chiavi sbagliate, per cui dovettero arrampicarsi ed entrare da una finestra!

 

Mi ha detto di aver trovato la casa, che nel periodo precedente era stata data in affitto stagionale, in condizioni pessime con scritte sui muri, sporcizia, cumuli di detriti nelle stanze del piano terreno; qualcosa, in effetti, sopraggiunse anche ai miei tempi, in quello che oggi è lo studio.

 

Quando Monica parla di Pian di Casi lo fa con lo stesso affetto e “fissazione” miei; così è un piacere sentirla narrare di quella volta in cui una mucca, curiosa, cercò di entrare in casa e si incastrò nell’ingresso, andando poi a mettere una zampa in un frigorifero...

 

O delle cene e dei pranzi, anche con 40 persone, che facevano nel salone; o dell’orto che credo suo nonno facesse dove oggi, purtroppo, c’è solo un cumulo di terra e di rovi; o di quando un confinante distratto fece tagliare alcuni bellissimi pini che invece erano di loro proprietà e – come si faceva un tempo – si fece perdonare cedendo una particella di terreno.

 

O, ancora, del generatore di corrente diesel che avevano collocato in una stanza dell’altra porzione del piano terreno, dato che Enel portò la luce elettrica solo un paio di anni dopo. Così, la sera, il generatore veniva spento e tutti si dotavano di torcia elettrica per eventuali alzate notturne...

 

O... di quello che pian piano mi dirà ed io, col suo consenso, scriverò sul sito!